Non più rinviabile la presenza OBBLIGATORIA di DAE a bordo campo e di personale addestrato all'uso.
Una morte prematura è sempre assurda, qualcosa che anche da soccorritori si fatica a metabolizzare.
L’ultima, in termini di tempo, è quella di Mattia Giani, uno splendido ragazzo che avrebbe dovuto avere tutta la vita davanti.
Attenderemo, ovviamente, le risultanze delle perizie medico legali e le valutazioni della magistratura, ma da sanitari e soccorritori è difficile non pensare ad una morte improvvisa da aritmia maligna.
Giusto, quindi, il richiamo che in queste ore viene dall’OPI di Firenze Pistoia alla necessità che a bordo campo vi sia sempre un defibrillatore e personale addestrato al suo utilizzo. La letteratura ci insegna che ogni minuto di ritardo nell’utilizzo del DAE toglie circa il 10% di chance di sopravvivenza alla vittima di un arresto cardiaco. Tre minuti perduti, il 30% di possibilità di ripresa del ritmo cardiaco perdute. Troppo perché qualunque intervento del sistema di emergenza territoriale possa essere, da solo, efficace.
Stiamo leggendo articoli che riportano il dolore dei familiari, del padre in particolare. Non possiamo fare altro che esprimere vicinanza a lui, alla sua famiglia e a tutte le persone che vogliono bene a Mattia. Comprensibile la loro voglia di comprendere affinché non accada ancora.
Non sappiamo nel dettaglio come siano andati i fatti, ma quello che sappiamo è che, in caso di morte improvvisa cardiaca, il tempo tra la perdita di coscienza ed il primo shock erogato dal defibrillatore può fare davvero la differenza tra la vita e la morte.
Abbiamo letto sui giornali ricostruzioni che poco collimano tra loro sul momento in cui sia stato realmente utilizzato il DAE e sulla gestione del primo soccorso. Quello che riteniamo importante, sempre basandoci sui dati di letteratura e sulle loro implicazioni, sarà comprendere se l’apparecchio fosse o meno presente sul posto nel momento dell’evento e, nel caso, perché non sia stato utilizzato.
Riteniamo improprie, invece, le allusioni più o meno velate al fatto che sia arrivato per primo “solo” un infermiere. Quel “solo” disturba perché minimizza l’altissima professionalità di operatori che, in quell’area, operano da più di 25 anni, con risultati ottimali. Gli infermieri del sistema 118 della Toscana, e in particolare del fiorentino, operano su procedure specifiche che gli permettono, come anche puntualizzato dall’OPI, di gestire in totale autonomia situazioni di arresto cardio respiratorio. Nella fattispecie ci risulta che l’infermiere abbia anche richiesto un appoggio medico, come peraltro previsto dalle procedure, e come è giusto che sia in situazioni di tale gravità, senza che questo implichi di per se una qualche mancanza nelle possibilità operative o nella gestione clinica della situazione.
Siamo vicini quindi anche all’infermiere intervenuto, che certamente ha provato l’impossibile per salvare una giovane vita senza purtroppo riuscirci, e che vede i suoi sforzi derubricati a quelli compiuti da “solo un infermiere”.
Forse i nostri operatori avrebbero bisogno di maggiore rispetto da chi è chiamato a fare informazione. Forse “l’Informazione” dovrebbe essere maggiormente “informata”.
Ci uniamo al cordoglio espresso da OPI Firenze Pistoia per la perdita del giovane Mattia e, come Accademia, faremo di tutto per promuovere la cultura della defibrillazione precoce in ambiente sportivo e non solo.
Eventi come questo non dovrebbero accadere ma, dato che purtroppo è plausibile che continuino a farlo, abbiamo tutti il dovere di essere pronti ad affrontarli nella maniera migliore affinché la morte di Mattia, e di troppi altri prima di lui, non risulti vana.
Il Consiglio Direttivo AIES
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